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Malattia cronica e la teoria dei cucchiai

Malattia cronica e la teoria dei cucchiai

La “spoon theory” o “teoria dei cucchiai” ci aiuta a comprendere cosa significa convivere con una malattia cronica

Christine Miserando è al college a cena con una sua amica, quando le viene chiesto di spiegare come è davvero convivere con una malattia cronica (nel suo caso il lupus).

Alla ricerca di una buona metafora, si guarda intorno nel ristorante e prende una manciata di cucchiai.

Nasce così la teoria dei cucchiai o spoon theory (puoi saperne di più consultando il sito butyoudontlooksick).

Non si tratta di una teoria scientifica, bensì di una metafora: una maniera creativa per spiegare ad una persona sana cosa significa vivere la propria quotidianità con la cronicità. Ecco perché molte persone con patologie croniche spesso si definiscono spoonie.

Secondo questa metafora, una persona con una malattia cronica ha a disposizione quotidianamente una quantità limitata di energia, rappresentata dai 12 cucchiai.

Ogni attività che compie consuma una certa quantità di energia o cucchiai.

Faccio un esempio pratico su di me. Intanto ai 12 cucchiai metaforici che avrei a disposizione, devo toglierne praticamente ogni giorno 1 perché sono anni ormai che dormo poco e male, svegliandomi non riposata. Mi alzo dal letto -1 cucchiaio. Mi lavo – 2. Mi vesto -1. Mi sistemo i capelli – 2.

Sono le 9 di mattina e sono già rimasta a 5 cucchiai.

Vado al lavoro – 4. Bene sono rimasta con 1 cucchiaio solo: significa che leggere (cosa che devo fare ogni giorno), organizzare i miei appuntamenti (cosa che devo fare ogni giorno), prendere i miei farmaci (cosa che devo fare ogni giorno) mi hanno già mandata a debito di cucchiai.

Trattandosi di una metafora, ognuno di noi può in realtà, rispetto alle proprie difficoltà, cambiare sia le attività che sono inserite in questo schema, sia cambiare il quantitativo di cucchiai previsto per ciascuna attività.

E la metafora per quello che mi riguarda si applica perfettamente anche a disturbi psicologici e neuroatipicità.

Quello su cui vorrei che ragionassimo tutt* è che è davvero difficile vivere così.

Capite ora perché una persona con una malattia cronica dice di no alle cene, ci pensa su tantissimo prima di aderire ad una attività extra e magari poi annulla l’appuntamento all’ultimo minuto?

Capite perché quando i #medici ci dicono “lei deve fare esercizio fisico tutti i giorni!!!” noi li/le guardiamo con occhi sgranati perché ci stanno chiedendo di scegliere tra andare al lavoro e fare yoga?

Anche gli/le professionist* sanitar* non possono fare prescrizioni sulla base di protocolli senza guardare come queste possono impattare sulla vita di una persona che convive con la cronicità.

Con particolare riguardo per le prescrizioni dietetiche che vengono prescritte per alcune patologie (l’esempio più comune: il diabete), senza prendere in considerazione che se non gestite con la massima attenzione le prescrizioni che riguardano il cibo possono aumentare il rischio di sviluppare disturbi del comportamento alimentare aggravando ancora di più un quadro già critico.

In Italia questa metafora è poco conosciuta, ma all’estero ha guadagnato parecchia popolarità negli ultimi anni. Di recente alcun* attivist* per i diritti delle persone con malattie croniche hanno acceso un dibattito sul fatto che sia una metafora complicata e poco accessibile.

C’è chi ha proposto l’idea del secchio: ognuno di noi a disposizione un secchio più o meno grande che rappresenta quanta energia abbiamo ad inizio giornata. Ogni attività che compiamo riempie il secchio un pochino, quando si arriva all’orlo non si hanno più le forze di proseguire con altre attività.

Altre persone, più giovani, cresciute tra smartphone e tablet hanno proposto la metafora del cellulare con la batteria che si scarica più o meno velocemente e il trovarsi fuori casa senza un caricabatterie.

Personalmente, non credo ci sia una metafora migliore dell’altra. Credo sia importante interrogarsi sul tipo di messaggio che vogliamo fare passare e quanto questo sia efficace.

Cucchiai, secchio o batteria: l’importante è che ci sentiamo rappresentat* e in possesso di una voce che merita di essere ascoltata.

Il mondo non sembra voler prendere in considerazione che moltissime persone vivono quotidianamente in questa metafora. Spero che questo ci aiuti a comprenderci meglio l’un* con l’altr*.

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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