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Sono una psicologa

Sono una psicologa

Il mio Ordine Regionale è ora “Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi”, una decisione molto importante secondo me. Ti spiego il mio punto di vista

Venerdì 31 gennaio è arrivata la prima newsletter a firma della nuova consigliatura del mio Ordine Regionale. Il titolo era:

“Ordine delle Psicologhe e degli Psicologi”

La newsletter prosegue abbiamo infatti deciso che l’Ordine, per regolamento, da oggi possa usare anche questa dizione #inclusiva nelle comunicazioni interne, per meglio rispecchiare la “demografia di #genere” della nostra categoria.”

I dati ENPAP parlano chiaro: le psicologhe sono l’85% della categoria, eppure si continuava tranquillamente ad utilizzare il maschile generico. Sempre dai dati ENPAP, emerge che le psicologhe hanno un gender pay gap del 20-30% in meno rispetto ad un collega uomo della stessa età. Mi pare ovvio che c’è qualcosa che non va.

Ovviamente ci sono state reazioni scontente da parte di colleghi uomini (ma davvero?), e anche delle colleghe donne hanno detto che era una cosa inutile, e le varie ed eventuali che emergono sempre quanto si prendono delle decisioni verso l’inclusività che di fatto non costano nulla a nessuno, se non il cominciare a pensare che forse, lo status quo va cambiato.

Io credo di aver sorriso per mezz’ora (non mi era mai capito prima leggendo una newsletter dell’ Ordine Psicologhe e Psicologi del Veneto). Perché il maschile non è MAI generico, è sempre maschile. Perché mi piacerebbe tanto parlare una lingua che permettesse di uscire dal binarismo di genere, ma l’italiano (per ora) non lo permette e, quindi, cerchiamo di fare il meglio che possiamo con queste “o” e queste “a”.

Perché le parole sono importanti e il linguaggio plasma il nostro mondo, formando le lenti attraverso cui lo guardiamo.

Chi mi conosce (dal vivo e online) sa che sono una tarma quando si tratta di questioni di genere. Perché viviamo in una società che vede solo rosa e azzurro, che discrimina pesantemente all’interno di queste due categorie e che si dimentica (compiendo in questo modo violenza) le altre identità di genere, che sono valide e hanno il sacrosanto diritto di vedere riconosciuta la propria esistenza.

Quando posso cerco di usare termini neutri inserendo la lettera “x” al posto del maschile/femminile per fare spazio a chi non si identifica né come uomo né come donna o fluidamente in entrambx. A volte, per provocazione, uso il femminile generico per fare vedere l’effetto che fa a chi, invece, è abituatx alla rappresentazione fagocitante di un solo genere.

Non ho la soluzione in mano, non so come possiamo fare a fare diventare davvero inclusivo il nostro linguaggio e soprattutto la cultura italiana, ma sono abbastanza sicura che aggiungere alternative, invece, che toglierne sia una buona strada.

A questo link, puoi leggere il testo intero della newsletter 

Un’ Altra Psicologia è davvero possibile.

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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