Home
Purché tu sia in salute
descrizione dell’immagine: una illustrazione di una persona bianca con i cappelli corti e castani. Porta gli occhiali con montatura tonda e indossa una camicia bianca, pantaloni ottanio e un cardigan arancione aperto sul davanti. In altro, su fondo ottanio la scritta: “purché tu sia in salute” e altre perle di abilismo & sanismo

Purché tu sia in salute

Purché tu sia in salute: e altre perle di abilismo & sanismo

Nel costante bodyshaming che ci bombarda su media e social media, molto spesso le persone invece che limitarsi a ribattere che non si commentano i corpi punto e stop, finiscono per sostenere che le persone hanno diritto ad amare il proprio corpo, purché siano salute. Il che generalmente è una implicazione che svaluta in particolare chi ha un corpo grasso e/o chi ha un corpo non conforme.

Non c’è modo di sapere lo stato di salute di una persona solo guardandola. E tutte le posizioni che sostengono il contrario (vedi Lombroso, Galton, i simpatici nazisti che stanno tornando di moda) fondano le loro radici nel razzismo e nell’eugenetica. Non sono cose a cui è carino associarsi.

Nel nostro Paese, secondo stime aggiornate nel 2019 dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, quasi il 40% della popolazione soffre di almeno una patologia cronica. Si tratta di 24 milioni di persone, e circa la metà presenta multicronicità. E sono numeri per la quale è prevista una costante crescita nei prossimi anni.

Credo si capisca dove voglio andare: le persone meritano rispetto perché sono esseri umani. Non perché sono giovani o stereotipicamente bellə o apparentemente in salute. Ogni volta che una argomentazione finisce con “purché tu sia in salute”, un goblin dell’eugenetica esulta e la palude putrida del sanismo e dell’abilismo si allarga sempre di più.

Lo so che non è facile contendere con l’idea che essere in salute sia equivalente a vincere alla lotteria, che anche chi nasce non disabile lo è solo temporaneamente e che il fine vita è una delle poche certezze che caratterizza la nostra esistenza, ma la soluzione non è dividere l’umanità in categorie di seria A e di serie B.

Penso anche che se si pretende di essere trattatə con compassione in relazione a queste paure, non si può non rivolgere la stessa capacità empatica e di accoglienza alle persone che non hanno il privilegio di non sapere come si vive da marginalizzatə nel mondo.

E’ il 2023, usiamo Google, magari?

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

Messaggio Whatsapp
Invia con WhatsApp