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Lasciare andare il controllo

Lasciare andare il controllo

Perché è difficile smettere di controllare tutto e perché dovremmo imparare a farlo. Anche con l’aiuto della psicologa

Nel 1986 Janet Jackson pubblica il singolo Control, nel 1987 esce l’album omonimo, e diventa una icona della musica. In questa canzone, Janet racconta la storia di come era stata controllata dal padre, di come è fuggita di casa sposando la prima persona di cui si è innamorata, un matrimonio abusante e violento da cui riuscì ad uscire. E finalmente ha il controllo della sua vita.
Quando sei adolescente e ascolti questa canzone, pensi che è proprio così, il controllo totale su di noi è l’unica via per stare bene e fuggire alle ingerenze altrui. Solo controllando potremo fare quello che vogliamo.

Peccato che non sia proprio così. Di controllo (e della sua cara mica ansia, per esempio) si parla tantissimo in psicoterapia. Perché nella vita ci sono ben poche cose che possiamo controllare, ma quando cerchiamo disperatamente di farlo per fuggire ad emozioni spiacevoli o ad un mondo che ci manda in confusione, rischiamo di invischiarci sempre di più.

Lasciare andare il controllo: un esempio al cinema

Elsa la Regina dei Ghiacci nel film Frozen fa un bellissimo percorso di elaborazione del suo rapporto con il controllo. Inizialmente è bloccata in un controllo totale, che la rende infelice, perennemente preoccupata e distante dai suoi affetti. Quando la verità sul suo potere viene scoperta, è come se si liberasse di un enorme peso. Mentre cammina sulla montagna innevata, cantando “Let it go” (mi rifiuto di ascoltare la versione italiana, Idina Menzel non si doppia) dice “Nè giusto, né sbagliato, nessuna regola per me, sono libera”.

Il problema è che così non ha risolto nulla, se ne è semplicemente andata all’estremo opposto. Il vero cambiamento arriva solo quando riesce ad accogliere se stessa, ad accettare rischi ed opportunità di avere un po’ potere così forte, trovando l’equilibrio necessario per essere una Regina decisa ma giusta ed una sorella affettuosa.

Quando si parla di controllo eccessivo e di gestirlo in maniera diversa, spesso di pensa di dover passare all’estremo opposto. Qualcun*, in effetti, ha bisogno, come Elsa, di sperimentare anche la sua totale assenza per trovare l’equilibrio. Ma sicuramente non è quella la strada definitiva per stare bene e non è sicuramente necessario passarci per sperimentare un cambiamento. La verità è che la via di mezzo spesso può spaventare. I due estremi del costrutto: controllo totale vs. va bene tutto, possono essere meno minacciosi anche se, a lungo andare, poco efficaci, perché spiegano in maniera assoluta come dobbiamo vivere.

Fare la scelta di Elsa non è spesso facile, ecco perché, come vi dicevo ieri, questo è un tema che ricorre spesso in psicoterapia, perché è una di quella tematiche sufficientemente complesse da necessitare l’aiuto di un* professionista per capirci qualcosa e trovare una via alternativa.

Una possibile chiave: controllare, influenzare, accettare

Un problema legato al controllo che in qualche modo interferisce sensibilmente con la nostra vita va gestito insieme ad un* professionista dalla psicologia e/o della psicoterapia.

Alcuni esempi potrebbero essere: eccessivo controllo su ciò che mangio/non mangio (contacalorie o macro, mangiare solo una certa tipologia cibi, escludendone altri senza motivi di salute, ecc…); eccessivo controllo sulla quantità/tipo di attività fisica che si sente di dover praticare quotidianamente; sentire di dover controllare fino al minimo dettaglio come appariamo/ci poniamo in pubblico in situazioni sociali, e sentirsi molto male se questo non è possibile, fino ad arrivare ad evitare quelle situazioni.

Queste sono solo alcune situazioni tipiche, ma ovviamente ce ne possiamo essere molte altre.

 Uno spunto che io ho sempre trovato molto utile è arrivato dalla psicologa costruttista inglese Mary Frances (che a sua volta ha riportato il lavoro di un* altr* autore/trice di cui purtroppo non ricordo il nome), in cui si invita cercare di distinguere tra ciò che effettivamente possiamo controllare, ciò che possiamo influenzare, e ciò che possiamo accettare perché non dipende da noi, e poi agire di conseguenza.
Può sembrare molto banale (sicuramente non è semplice) ma in realtà cominciare a distinguere sistematicamente tra questi aspetti può davvero aiutarci ad affrontare la quotidianità con meno confusione e ansia.
Per tutto il resto, c’è la psicoterapia

Controllo e salute: malattia cronica, disabilità, neuroaticipità

Ci sono delle situazioni specifiche, ma diffuse, in cui sviluppare una buona relazione con il controllo è necessario per la salute. E non è facile trovare un buon bilanciamento, perché non ci si può permettere di vivere alla giornata, ma allo stesso tempo è importante non restare in trappola.

Porto il mio esempio personale, problematiche contingenti e risolvibili ma che comunque influiscono sulla mia vita quotidiana. Per la mia Hashimoto devo assumere ogni mattina, tutte le mattine senza dimenticanze, la terapia integrativa per la tiroide. Non va dimenticata, va presa possibilmente sempre alla stessa ora, ed almeno 30 minuti prima di fare colazione. Il che significa che le mie mattine, da questo punto di vista devono essere tutte uguali. Alla sera prendo la terapia estroprogestinica che sospende il mio ciclo mestruale per gestire endometriosi e adenomiosi, anche qui, niente dimenticanze e sempre alla stessa ora. Se sono in viaggio o se faccio attività che interferiscono con questo ritmo, devo essere pronta ad avere le pillole con me e assumerle all’ora corretta.
Sciocco? Non proprio, ci sono stati di momenti in cui odiavo questa routine e sognavo di poter fare quello che volevo delle mie mattine e delle mie sere. Altri momenti in cui vedevo questa regolarità come un grosso limite per le mie giornate e la mia vita ed ero arrabbiata.

Ora pensiamo ad una persona con il diabete o ad una persona celiaca, o ad una persona che per urinare deve fare autocateterismi, o una persona in carrozzina che non può semplicemente prendere un treno quando gli/le pare o andare ad una conferenza o ad un concerto senza prima organizzarsi, programmarsi, mettersi d’accordo eccetera.

E ci sono ovviamente tantissime altre situazioni di malattia cronicadisabilità o neuroaticipità in cui le persone per quanto possano volere essere libere e spontanee, per poter salvaguardare la propria salute (e in alcuni casi la propria vita) devono programmare e avere un certo governo della situazione. Qui è chiaro che la ricerca dell’equilibrio non è facile e può richiedere di doverci lavorare su, anche ciclicamente e a più riprese.

Di sicuro più tutt* cerchiamo di muoverci per smantellare l’abilismo e rendere il mondo più inclusivo, più possiamo essere di aiuto nel supportare la salute (fisica e mentale) di chi non può permettersi il privilegio dell’improvvisazione con la propria quotidianità.

Sono una psicologa psicoterapeuta e lavoro a Rovigo e online. Mi occupo del benessere psicologico di adulti e adolescenti.

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